lunedì 18 maggio 2009

Magia Lucana (Italia, 1958).

Un documentario di Luigi Di Gianni.

Davvero le tecnologie digitali stanno contribuendo “a rendere giustizia” ad alcuni dei più importanti registi del cinema documentario italiano, un genere che per molti anni nel nostro Paese ha rappresentato non solo una palestra per giovani registi esordienti, ma anche una preziosa occasione per raccontare sullo schermo la realtà, anche quella più scomoda e fuori dal coro. Un patrimonio enorme di immagini e racconti appassionati che, scomparso all’attenzione del grande pubblico ormai da trent’anni, sta ottenendo, grazie al lavoro di studiosi e case editrici, l’attenzione che merita, ritornando ad essere un patrimonio condiviso e di nuovo fucina di giovani talenti cinematografici. Sulle pagine di Extra abbiamo già raccontato delle recenti pubblicazioni di alcuni lavori di Cecilia Mangini e Gianfranco Mingozzi. Questa settimana invece parliamo di un altro regista di documentari che, con il suo lavoro, ha contribuito a salvaguardare un patrimonio culturale importantissimo. Luigi Di Gianni è, a giusto titolo, considerato uno dei più importanti documentaristi italiani, con una lunghissima carriera come autore e docente alla Scuola Nazionale di Cinema e in alcune Università. Napoletano, Di Gianni è il rappresentante in Italia di un cinema di ispirazione antropologica, che ha trovato soprattutto nel Sud Italia e nel sentimento religioso dei suoi abitanti, il soggetto privilegiato di molti documentari.


L’occasione per parlarne è la pubblicazione in dvd del suo film d’esordio, Magia lucana girato nel 1958. Il documentario realizzato in Basilicata ricostruisce e presenta alcuni dei rituali magico-religiosi messi in atto dai contadini meridionali, veri e propri eredi di una tradizione culturale millenaria. Pur nella sua breve durata, grazie ad un utilizzo rigoroso del linguaggio cinematografico e con immagini forti e solenni, Di Gianni restituisce la forza della presenza, nella vita contadina, della magia. Con il rituale i contadini costruivano infatti una dimensione protetta, riuscendo a trovare le “soluzioni” alle difficoltà di una vita precaria e miserabile. Nell’invocazione al sole, nel lamento funebre, nei riti d’amore e di fattura, si manifestavano perciò i resti di una civiltà antichissima, che tentava di esercitare una sorta di controllo su una natura misteriosa e minacciosa.
Questo interesse per i temi della magia nasceva in Di Gianni con l’incontro con un altro grande meridionalista, l’antropologo Ernesto De Martino, che in quegli stessi anni pubblicava i risultati delle sue ricerche nel Sud Italia: Morte e pianto rituale (1958), Sud e magia (1959) e La terra del rimorso (1961). La lettura appassionante e appassionata di questi testi, spinsero alcuni giovani registi, oltre allo stesso Di Gianni, ma anche Cecilia Mangini, Gianfranco Mingozzi, Lino del Fra e Giuseppe Ferrara, ad andare sul campo per raccontare un mondo affascinante e destinato, in pochissimo tempo, a scomparire travolto dal boom economico. Questi documentari ebbero così il merito di svelare la creatività e la forza del rito che le genti meridionali opponevano alle loro misere condizioni di vita, contribuendo non solo alla salvaguardia di un patrimonio culturale, ma anche ad un ripensamento complessivo del tema del folklore: queste manifestazioni non erano più rappresentante come prove di superstizione e arretratezza, ma segni di una cultura comune e antica. Magia lucana è poi una grande prova di cinema, se è vero che a prevalere, piuttosto che quello dell’antropologo, è comunque lo sguardo del regista di cinema, di colui cioè che, affascinato da situazioni estreme e di grande impatto emotivo, prova a restituirne l’intensità attraverso le immagini: “Nel mio cinema c’è un’origine antropologica, ma successivamente, abbandonando la scientificità, sento il bisogno di abbandonarmi alle mie suggestioni e alla mia soggettività”, dichiara lo stesso Di Gianni.

Nel cofanetto, proposto dalla DocVideo di Torino e in vendita on-line, viene proposto oltre a Magia Lucana e a un libro fotografico, anche un interessante documentario di Simone Grosso, “La malattia dell’arcobaleno”, che racconta di un viaggio che Di Gianni fa nei luoghi in cui si è sviluppata la sua lunga carriera cinematografica: mentre riacquistano movimento le immagini dei suoi film, i paesi della Lucania, i vicoli di Napoli ritornano ad essere un vero e proprio paesaggio dell’anima, specchio del fascino che lo stesso regista esercita su chi lo incontra. Quello di Grosso è quindi un riuscito tentativo di ricostruire per intero il percorso umano e cinematografico di Luigi Di Gianni, e risulta così molto interessante non solo per chi si avvicina all’opera di Di Gianni per la prima volta.

Cofanetto Luigi Di Gianni
“Magia lucana - La malattia dell'arcobaleno - Libro fotografico”
per info: http://www.docvideo.it/

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