domenica 25 aprile 2010

L'uomo nell'ombra (The Ghost Writer - USA, Germania, Francia 2010)

Un film di Roman Polanski. Con Ewan McGregor, Pierce Brosnan, Kim Cattrall, Olivia Williams, James Belushi, Timothy Hutton, Eli Wallach, Tom Wilkinson,

  

«Tony Blair? Ho avuto il sospetto che dovessi non dico imitarlo, ma interpretarlo. Ma Roman mi ha subito detto: dimentica Blair, sei Adam Lang. E infatti non cercate l'ex premier inglese nel mio personaggio, questo è piuttosto una visione shakespeariana del potere, drammatica e intricata». (Pierce Brosnan)

 

 

Il protagonista, scrittore capace e ben interpretato da Ewan McGregor, intuisce fin dall’inizio che il lavoro che sta per accettare non sarà un semplice incarico come quelli a cui è abituato. Già esperto ghost writer, forse all’inizio pensa seriamente che per affrontare la biografia dell’ancora potente ex-primo ministro inglese bastasse mettere in prosa le risposte alle sue interviste. Ma c’è un particolare non da poco ad agitare il suo lavoro, il suo predecessore è morto, naturalmente prima di aver completato il libro. “Sapremo mai se si sia trattato veramente di un incidente?” Interrogativo non da poco, soprattutto se il nostro protagonista si ritrova dopo poche ore ad atterrare su un’isola degli Stati Uniti trasformata in un bunker dal suo potente cliente. Adam Lang, perfetta icona del potere di oggi, sempre sorridente davanti alle telecamere, cinico e spietato nelle scelte politiche, ha trasferito sull’isola la sua base operativa, con segretarie, moglie e guardie del corpo, il tutto condito un’insistente pioggia britannica. “Adam Lang fa di nuovo notizia”, suo malgrado, e trascina con sé tutti quelli che lo circondano.

La pioggia e il cielo plumbeo fanno da contraltare alla discesa di uno spaesato McGregor nei meandri del potere, insieme agli altri protagonisti della vicenda che sembrano subire gli effetti nefasti di una pioggia martellante, di un vento insistente che sconvolge non solo le capigliature. Roman Polanski, ancora oggi agli arresti domiciliari in svizzera per le sue note e poco edificanti vicende giudiziale, costruisce un thriller spionistico per certi versi classico nella sua messa in scena, ma al tempo stesso capace di legarsi all’attualità. Un classicismo che si riflette innanzitutto in una trama che, piuttosto che puntare su un intreccio inutilmente ingarbugliato (diciamo pure che molto presto si intuisce quasi tutto, anche se le informazioni vengono sapientemente dosate, si affida alla capacità delle immagini di Polansky di creare un’atmosfera carica di pathos. Stesso discorso per l’interpretazione degli attori improntata all’essenzialità e all’inquietudine. In particolare Ewan McGregor riesce a restituire in pieno il ritratto di una persona qualunque finita quasi per caso in un ingranaggio più grande e più forte che finirà per travolgerlo.

 

sabato 10 aprile 2010

Il Profeta (Francia, Italia 2009)

Un film di Jacques Audiard. Con Tahar Rahim, Niels Arestrup, Adel Bencherif, Reda Kateb, Hichem Yacoubi. Jean-Philippe Ricci. 


«In questo film la prigione è una metafora della Francia. Con questo non voglio dire che essere liberi o carcerati è la stessa cosa. Voglio dire che in prigione si ricreano, esasperati, i meccanismi sociali, psicologici, etnici, religiosi, di classe che condizionano la nostra vita sociale»

Jacques Audiard 
 

Se dovessimo misurare la civiltà di un paese, in questo caso si tratta della Francia, dalla condizione dei detenuti, allora questo film ci mostra un paese messo decisamente male. Jacques Audiard costruisce, senza retorica e falsi moralismi, una critica aspra ad un sistema carcerario corrotto, dal quale nessuno esce migliore, e restituendo così un ritratto della Francia di oggi. Il carcere in cui il detenuto Malik è condannato a scontare sei anni per aver aggredito un poliziotto, è infatti un  vero e proprio microcosmo, in cui i detenuti e le guardie riflettono come in uno specchio la società che li ha, in un certo senso, prodotti in un continuo rimando fra esterno e interno, fra chi sta dentro e chi è fuori. Audiard esplora questo mondo con lo sguardo di Malik. Il ragazzo ha imparato, fin dal suo ingresso in carcere, che gli occhi conviene tenerli bassi, pensando a difendersi. Tutto inutile però. Malik capisce in fretta quali sono i meccanismi che regolano una vera e propria società parallela, e soprattutto impara a disprezzare gli altri uomini, glielo insegna il boss Luciani che decide in un certo senso di “adottarlo”, commissionandogli l’omicidio di  un detenuto che non deve testimoniare. Per Malik si tratta di una vero e proprio rito di iniziazione alla vita da criminale. Da quel momento in poi Malik smette in fretta di guardare il pavimento ed accettare solo ordini. 

E’ intelligente, osserva, impara le regole non scritte che convivono insieme a quelle ufficiali, impara a difendersi. E così il ragazzo entrato in carcere a 19 anni, spaventato, miserabile e pezzente, esce dopo sei anni rivestito a nuovo, mentre ad aspettarlo c’è la banda di criminali che ha costruito durante le uscite in libertà condizionata. Adesso Malik ha l’espressione fiera di chi, assaporato il gusto dolce del comando, ormai non si accontenta più. Il suo primo omicidio gli ha insegna a non avere più paura, a considerare la sua permanenza in carcere un vero e proprio apprendistato. Ma lo sguardo è anche quello visionario di un ragazzo cresciuto in fretta, capace di dare forma ai suoi incubi, fino quasi a prevedere il futuro. Brillano di intelligenza gli occhi del giovane Malik, nei primi piani di Audiard, e hanno la determinazione di chi è pronto a compiere il suo tragico destino. La sua missione.

È un film potente Il profeta, nel quale si viene letteralmente sorpresi dalla quantità di temi e situazioni che vengono esplorati a volte con rabbiosa fretta, altre con la calma di chi ripensa ad occhi chiusi, nella cella di isolamento, alla vita. Il tutto scandito da una regia che sa essere nervosa, movimentata, da una macchina da presa costantemente addosso ai protagonisti, ad indagarne con meticolosità gesti, corpi, ferite, sguardi. Il ritmo non cede mai, Audiard tiene costantemente alta la tensione, attraversando attraverso l’azione e la violenza, oltrepassando i labilissimi confini tra chi sta in cella e chi sconta la sua pena per la strada. Malik attraversa, con la disinvoltura di un capo, i delicati confini etnici che regolano il mondo criminale, imparando la lingua dei mafiosi corsi,  trattando con gli arabi, affrontando i marsigliesi e i mafiosi italiani. Una vera società multiculturale. Un film capace di emozionare profondamente gli spettatori, gettandoli in un mondo in cui c’è poco posto per l’umanità dei suoi abitanti. 

martedì 6 aprile 2010

Invictus - L'Invincibile (USA 2009)

Un film di Clint Eastwood. Con Morgan Freeman, Matt Damon, Tony Kgoroge, Patrick Mofokeng, Matt Stern. 


Ragazzi I tempi stanno cambiando. E dobbiamo cambiare anche noi.

 
 

Cosa può servire al cambiamento di un’intera nazione? Se lo chiede Nelson Mandela, dal primo giorno in cui, dopo 27 anni di galera, finalmente riassapora il gusto della libertà. Il cambiamento è nell’aria, il Sudafrica sembra pronto a quella che tutti definiscono un’occasione storica. Ma come dare impulso a questo processo, facendolo condividere a milioni di cittadini e soprattutto conciliando i timori dei bianchi e il desiderio di rivalsa dei neri? Il campionato del mondo di rugby può diventare quell’occCorsivoasione. Anche perché c’è la squadra nazionale, gli Sprinboks, che fino a quel momento è considerata il simbolo stesso dell’apartheid. 

Ma il “perdono libera l’anima e cancella la paura” e Mandela scommette anche parte del suo prestigio politico sul fatto che, più di trattati economici e nomine di ministri, ad aiutare il Sudafrica a trovare una nuova forma di convivenza possa proprio essere il rugby e lo sport. Rischia in prima persona, come ha imparato a fare in carcere, per portare avanti il suo progetto politico di creazione di una Nazione capace di accogliere tutti i suoi cittadini. E questo sarà un aspetto determinante nel coinvolgere chi gli sta intorno in una nuova sfida. Eastwood esplora, attraverso la ricostruzione di questo avvenimento storico, la possibilità di coesistenza di opposti desideri, diverse aspirazioni, in un lavoro che sia veramente di squadra. A volte però, nonostante Invictus riveli la grandissima capacità visionaria di Clint Eastwood, il film sembra scontare alcune semplificazioni di troppo, quasi che il suo autore tema di mancare il lieto fine, specie nella seconda parte in cui la narrazione si dirige docile verso quello che poi è accaduto veramente. Ma gli ingredienti per emozionare gli spettatori ci sono tutti. Se avete pianto guardando in televisione le olimpiadi, questo film non vi lascerà indifferenti. 

Gli Springboks, inseguendo e vincendo contro tutte le previsioni il titolo di campioni del mondo, diventano sul campo il simbolo del nuovo Sudafrica. Lo fanno con il sudore, con il sacrificio, ma soprattutto ci riescono perché sono davvero una squadra, percorsa dal brivido della sfida e dall’energia. Quella stessa ispirazione che Mandela cerca di portare nel suo paese. Invictus riesce a restituire perciò tutta la portata storica della sfida che lo stesso Mandela lanciò al suo paese, in un momento in cui il cambiamento non poteva essere più rimandato.