domenica 28 febbraio 2010

Soul Kitchen (Germania 2009)

Un film di Fatih Akin. Con Adam Bousdoukos, Moritz Bleibtreu, Birol Ünel, Anna Bederke, Pheline Roggan.

 

- Cibo per l’anima, Soul Kitchen.

- Mi piace!

 

 

Il tentativo è ambizioso, condire la commedia con il fascino della cucina e il ritmo intrigante della musica soul. Zinos è un giovane immigrato greco dalla vita sentimentale e lavorativa decisamente incasinata, ma capace di lasciarsi trascinare dalla vita e dalle molteplici possibilità che offre. Ogni giorno. Arrivato ad Amburgo ha investito tutti i suoi soldi nell’acquisto di un vecchio capannone industriale, installando un ristorante di poche pretese, la cui unica mission è sfamare una clientela di operai della zona, altrettanto di poche pretese in termini di qualità e varietà delle pietanze. A dare la svolta al suo locale, regno di alimenti surgelati e fritti, e di conseguenza alla sua vita, arriva Shayn, cuoco eclettico e intransigente in termini di creatività e rispetto gastronomico. Come in ogni buona trama che si rispetti a quel punto si intrecciano varie elementi: un fratello scapestrato, un vecchio amico delinquente, giovani punk, agenti del fisco e infine un nuovo amore, il tutto a condire una sapiente sceneggiatura e una stile registico essenziale, al servizio della storia. Insomma, tutti gli ingredienti che fanno di Soul Kitchen una commedia sentimentale, dalle trovate intelligenti e dal ritmo sostenuto, come i brani della bella colonna sonora. Ottima l’interpretazione di Adam Bousdoukos, vero greco di Amburgo, che dà sostanza ad una vicenda che riesce ad affrontare anche temi più impegnativi come l’integrazione e il senso di appartenenza. E già, perché inseguire i propri sogni è più difficile se si è immigrati, lontani da casa. Soul Kitchen diventa perciò un luogo speciale, crocevia di razze e tipi umani dei più disparati. Questa atmosfera e la capacità di condivisione saranno determinanti, innanzitutto per Zinos, per superare incertezze e guai, fino ad una degna conclusione. Zinos e i suoi amici ci dimostrano che l’insicurezza del vivere moderno, la fragilità e  l’individualismo possono essere affrontati insieme, con un sorriso divertito e lo sguardo innamorato. Come nelle ricette di Shayn, quindi anche questo film riesce nell’impresa, non del tutto scontata, di ricombinare fra loro elementi semplici per trasformarli in un piatto appetitoso e dalla forma molto invitante. Evitando quello che spesso succede nei ristoranti più raffinati, dove al godimento dell’assaggio di bellissimi piatti non segue quasi mai la sensazione piacevole di aver mangiato a sazietà e magari ci si rifugia, per un più sostanzioso dopo-pasto, in una bettola un po’ malmessa ma di sicuro più sincera. E’ proprio questa è l’atmosfera che si respira a Soul Kitchen e di cui Zinos è, giustamente, orgoglioso.

lunedì 15 febbraio 2010

questa settimana, la recensione di un libro...


LA CURA - Vie di fuga possibili per sfuggire ad un disastro certo.


"C'è una specifica ragione se la politica preferisce i co.co.co., i contratti a termine.

Perché così può scegliere i fedeli, stabilizzandoli se dimostrano obbedienza,

e nel frattempo tenendoli per anni sotto schiaffo."


Scorre veloce la lettura di questo brillante e documentato saggio di Michele Ainis, edito da ChiareLettere, che traccia un lucido ritratto dei mali che affliggono oggi il nostro Paese. Il ritmo della scrittura, e la ricchezza dei dati a sostegno delle tesi dell’autore, contribuiscono in un certo senso ad allontanare il rischio di frustrazione del lettore posto di fronte ai consolidati vizi della società italiana. Una diagnosi così allarmata e allarmante potrebbe spingere i più pigri a trovare quasi una giustificazione per l’atteggiamento di rassegnazione e di sconfitta di qualsiasi possibilità concreta di cambiamento. Ainis allontana questa possibilità costruendo un’analisi lucida su aspetti molto concreti del vivere quotidiano, proponendo una ricetta piuttosto semplice, la cui applicazione presuppone la volontà di affrontare sul serio i problemi. Come ogni terapia occorre infatti che si rispettino alcune regole, in fondo poi, sempre quelle: costanza nel seguire le indicazioni, attenzione agli effetti collaterali, determinazione a superare le prime difficoltà e al tempo stesso a non cedere ai facili entusiasmi determinati dai primi risultati ma continuare fino in fondo, fino a guarigione avvenuta. Ainis propone con piglio polemico e ricchezza di dati, una ricetta completa, fatta di dieci interventi che a suo dire possono sconfiggere quei grumi di potere e clientele consolidate, responsabili del mancato sviluppo dell’Italia. Gli esempi non mancano nella cronaca quotidiana. E così, mentre si sbandiera la volontà di premiare il “merito”, certi schieramenti politici ricandidano le veline e soubrette escluse dalle liste delle scorse europee a quelle delle regionali, forse convinti che questa volta ci sarà meno clamore. Ma tanto si sa, lo dicono i sondaggi, in Italia, quello che non può la famiglia, riesce al partito, e un posto al sole non lo si nega quasi a nessuno. Purchè si dimostri docile e mansueto, non troppo intraprendente. E se la classe politica è lo specchio del paese, vuol dire che non dovremmo sorprenderci per la candidatura in Lombardia di un ragazzo bocciato quattro volte alla maturità, ma illustre figlio di tanto padre. Ma l’oligarchia delle classi politiche è solo uno dei sintomi di un malessere generale, diffuso come un cancro in tutti i settori della società. Ainis denuncia la poca trasparenza dei concorsi pubblici, i meccanismi di autodifesa dei vari ordini professionali, l’età media altissima delle persone collocate nei posti chiave non solo della politica ma anche dell’economia. Una vera e propria gerontocrazia che opprime e inibisce l’accesso delle nuove generazioni, portatrici di energie e idee nuove, nella società. “La scarsa volontà di riconoscere i talenti, di stimolarli, di compensarne adeguatamente l’operato è la palla al piede della nostra società” Quando si criticano tanto i “bamboccioni” che non abbandonano il nido familiare, si dimentica quanto frustrante sia per la maggioranza il percorso che porta all’accesso al mondo del lavoro. Ainis ha il merito, dobbiamo riconoscerlo, non solo di denunciare il male, scrivendo quello che potrebbe essere il “libro contabile d’una società fallita”, ma anche di proporre alcune possibili soluzioni, individuando nella Carta Costituzionale i principi disattesi e le regole possibili, tanto semplici a volte da sembrare quasi irrealizzabili, per un paese che appare rassegnato al proprio destino. E lo fa invocando una rinnovata trasparenza nella gestione della cosa pubblica, una vigorosa presa di coscienza e soprattutto un impegno in prima persona di ciascuno. Finito il tempo della delega, che per troppo tempo ha consentito alle varie caste di costruire i fortini del proprio autorefenziale potere, è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e darsi da fare. Anche se a volte ci sembra il contrario, il nostro futuro è ancora tutto da scrivere, aggiungendo a questo decalogo la nostra personale cura.


La Cura. Contro il potere degli inetti per una repubblica degli eguali

Chiarelettere, 2009, €14,00

lunedì 1 febbraio 2010

AVATAR

Un film di James Cameron. Con Sam Worthington, Zoe Saldana, Sigourney Weaver, Stephen Lang, Michelle Rodriguez, Giovanni Ribisi, Joel Moore.

Manderanno un messaggio per dirci che

possono prendersi tutto quello che vogliono,

ma noi manderemo il nostro messaggio...

Questa è la nostra terra!

Nel giudicare film come questi, annunciati da un incredibile battage pubblicitario e da roboanti dichiarazioni sul fatto che il cinema non sarà più lo stesso dopo l’uscita nella sale di tale capolavoro, è molto facile che si creino due schieramenti, opposti nel giudicare l’opera, pronti a dissentire anche ferocemente fra loro. Capita allora che, quasi per una sorta di spontaneo scetticismo e prevenzione nei confronti degli annunci e della pubblicità, una parte del pubblico pur non potendo mancare un appuntamento con la Storia del Cinema, vada in sala pronto a sentenziare la mediocrità e l’inganno di quella che si configura come una megalomane operazione tecnologico-pubblicitaria, fatta apposta per turlupinare le masse di spettatori che al cinema ci vanno solo due/tre volte l’anno (di cui almeno una dedicata ai famigerati cinepanettoni). Pur vicino sentimentalmente alla fazione dei contestatori, lo ammetto, nello scontro di opinioni e nel fiume di parole generato dal film di James Cameron, sono andato al cinema con lo spirito ecumenico di una terza via, cercando di lasciarmi sorprendere da un nuovo “giocattolo” cinematografico, più grande e colorato di quelli che fin’ora ho visto. La prima impressione, già allo scorrere dei chilometrici titoli di coda, è quella di aver assistito a qualcosa che da un punto di vista spettacolare è davvero sorprendente. Il 3D crea un mondo avvolgente e Pandora, dove è ambientata la vicenda, acquista una concretezza visionaria che non ha eguali. Il pianeta viene reinventato, e qui bisogna riconoscere la capacità visionaria di Cameron, con una ricchezza di paesaggi e creature viventi, che danno nuovo splendore alla tradizione iconografica della fantascienza.

Tutto questo sfavillante esibizione tecnologica è purtroppo al servizio di una storia già sentita, anche se “mai vista così”. Le citazioni potrebbero essere numerose, e comprendono in ordine sparso, film che ripensano il genere western, tipo Un uomo chiamato cavallo o Balla coi lupi, capolavori come Apocalypse Now con annesso attacco di elicotteri, (quello più grande, guarda un po’, si chiama pure Valkyrie), passando per cartoni animati più o meno recenti come Spirit o Pocahontas e così via, fino all’autocitazione di Alien e Terminator. E così, anche in questo senso, ci si divide fra chi denuncia lo scopiazzamento a piene mani e chi invece esalta la capacità di citare la storia del cinema, pescando con maestria fra i vari generi. La narrazione non riesce però a decollare davvero, non tanto per la forza di gravità che su Pandora non è un problema, quanto piuttosto per l’abbondanza di stereotipi e banali contrasti fra una visione animistica del mondo degli alieni e l’invadenza militaresca degli umani. Fatte le dovute eccezioni, questi infatti appaiono ottusamente incapaci di relazionarsi con gli abitanti di un pianeta ricco di spiritualità, e non solo i materie prime, ma soprattutto incapaci di comprendere che tutto il pianeta appare percorso da connessioni vitali che legano coloro che lo abitano, rendendoli parte di un unico insieme. Forse per noi occidentali, da secoli abituati a prendere quello che ci serve in giro per il nostro di pianeta, e senza tanti scrupoli, potrebbe essere l’occasione di un ripensamento della nostra storia, ma il messaggio appare molto annacquato, così come la rivendicazione dei propri diritti lanciato dagli abitanti di Pandora inciampa in più punti. Non ci si sorprende mai a seguire le avventure di personaggi che, nonostante volteggi e paesaggi mozzafiato, appaiono appesantiti dagli stereotipi del proprio ruolo, dalla ovvietà dei conflitti e dalla semplificazione eccessiva di caratteri ed emozioni. Davvero da dimenticare poi alcune sequenze che finiscono nel ridicolo, come per esempio nella danza new-age messa in piedi per cercare di salvare la combattiva scienziata amica degli indigeni. L’unico momento forse in cui ci si emoziona rimane alla fine uno di quelli più semplici, e cioè quando Jake Sully, durante il primo “viaggio” nel suo doppio, l’Avatar, ritrova le gambe e l’incontenibile emozione di poter di nuovo correre. Leggero, in un corpo e in un mondo nuovo, sperimenta il potere della mente. Sarà questa l’immagine del futuro che ci aspetta?