sabato 24 gennaio 2009

Firenze di Pratolini (Italia, 1959), un documentario di Cecilia Mangini.



Il cinema di Cecilia Mangini è un lungo viaggio attraverso l’Italia:
Firenze di Pratolini è una straordinaria partenza.

Continua l’opera meritoria della casa editrice salentina Kurumuny che, pubblicando una serie di documentari italiani, ne conserva la memoria e offre l’occasione di guardare film altrimenti introvabili. Quello di cui ci occupiano questa settimana è il documentario realizzato dalla regista Cecilia Mangini nel 1959, a Firenze, con il commento dello scrittore Vasco Pratolini.
Firenze di Pratolini è un ritratto della città toscana tracciato con uno stile ben lontano dall’enfasi che ci si potrebbe aspettare da un documentario turistico. Quello che vogliono raccontare i suoi autori è infatti il volto nascosto della città: quello dei quartieri popolari, di un sistema sociale che stava scomparendo, ma che riesce a rivelare nelle immagini tutta la sua forza di coesione di solidarietà fra gli abitanti. Scrive Mirko Grasso nel suo saggio, che in questo film Pratolini racconta infatti la sua Firenze, quella popolare, altamente dignitosa nella sua quotidianità e povertà, sapientemente filmata dalla regista. Immagini e commento stanno dalla parte dei giovani, dei poveri, dei vecchi, delle ragazze, degli straccioni che popolavano quella Firenze; e nello stile complessivo del documentario non si avverte mai una separazione fra chi osserva e chi viene rappresentato sullo schermo. Questo documentario, e tutta l’opera di Cecilia Mangini, si inscrivono in un più generale movimento di rinnovamento per il cosiddetto cinema della realtà nel nostro Paese. Il secondo dopoguerra rappresenta infatti il momento in cui il cinema assume in pieno il compito di mostrare il volto reale dell’Italia: proprio quella che il regime fascista, con la sua propaganda, aveva tenuto ben nascosta. Un’Italia povera, disperata, emarginata ma vitale, appariva per la prima volta sullo schermo, prima con i capolavori del Cinema neorealista di De Sica (per citare solo un nome), film che suscitarono ostilità e tentativi di censurare quello che veniva considerato uno scandalo: i panni sporchi dovevano essere lavati in famiglia e non sullo schermo cinematografico. Quando poi, alcuni anni dopo, quella spinta del grande cinema andava esaurendosi, spinta in certo senso sovversiva perché in grado di scandalizzare l’opinione pubblica e mettere in crisi i modelli dominanti, toccherà ad un rinnovato cinema documentario raccoglierne il testimone. Vero e proprio erede del Neorealismo, il documentario italiano infatti continuò a raccontare l’Italia, già a partire dagli anni ’50, anche e soprattutto nei suoi aspetti più duri. Il documentario perciò dimostrava di essere uno strumento efficace di scoperta di quei lati nascosti della società e al tempo stesso occasione per una denuncia di quella condizione di marginalità. Un nuovo mondo appariva per la prima volta sullo schermo, ed era il Sud magico, arretrato, schiacciato dalla miseria, ancora vitale nelle sue manifestazioni culturali, raccontano ad esempio da Vittorio De Seta, Luigi Di Gianni, Lino Del Fra, Gianfranco Mingozzi. Ma ad essere raccontate erano anche le grandi città del Nord industrializzato, i nuovi rapporti sociali e le vecchie sacche di povertà, descritte, tra gli altri, da autori come Ansano Giannarelli e Florestano Vancini.
L’opera della regista pugliese Cecilia Mangini, e di suo marito Lino Del Fra con il quale ha condiviso l’intera carriera cinematografica, ben si inserisce in questo panorama. Tutta la sua opera mantiene costante il tentativo di svelare i meccanismi che soggiacevano al cosiddetto boom economico, nelle periferie delle grandi città industrializzate così come in quelle del Sud povero, erede di antiche tradizioni culturali. E’ così che i protagonisti dei suoi film sono proprio quelli che rimanevano sempre ai margini di questo miracolo: spettatori impotenti dell’arricchimento generale, oppure pedine inconsapevoli di meccanismi economici, come i tantissimi emigranti meridionali. Cecilia Mangini e gli altri documentaristi italiani, dimostrarono che il cinema poteva davvero diventare strumento di partecipazione civile alla vita sociale e culturale del proprio Paese, dando voci e immagini ad un mondo di emarginati, ma al tempo stesso raccontando il desiderio di affrancarsi da quella condizione. E’ per questo che questi film conservano ancora oggi una grande forza e rappresentano una lezione per chi ha a cuore il racconta della realtà.
Scrive Grasso che: “Queste immagini parlano di un mondo ormai scomparso. E non è un solo il mondo del lavoro artigianale, quello dell’arte di arrangiarsi e della miseria quotidiana, ma è anche il mondo in cui, nonostante le censure e l’oppressione, si lottava per un futuro migliore”.
Non con la nostalgia per un mondo perduto dunque si possono guardare questi film ma con il desiderio di conoscere un mondo di cui dovremmo continuare a sentirci in un certo senso eredi.


Andrea Vannini, Mirko Grasso
Firenze di Pratolini. Un documentario di Cecilia Mangini, Edizioni Kurumuny, 2008.
Per info: www.kurumuny.it

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