mercoledì 30 settembre 2009

The Informant! (USA 2009)

Un film di Steven Soderbergh. Con Matt Damon, Scott Bakula, Joel McHale, Melanie Lynskey, Frank Welker.


"Questa storia è basata su fatti reali.
I personaggi e le situazioni sono stati però mischiati.
E i dialoghi sono stati adattati. Beccatevi questo!"


Il nuovo film di Sodeberg, reduce dalle fatiche dell’opera su Che Guevara, rischia in più occasioni di disorientare lo spettatore. La struttura narrativa del film infatti, riesce a ricalcare quella dello stesso protagonista di questa vicenda realmente accaduta negli Usa. Marc Whitacre ha rappresentato, infatti, un vero e proprio caso delle cronache giudiziarie e finanziarie americane degli anni novanta. Inizialmente “arruolato” come collaboratore dall’FBI in una inchiesta per frodi alimentari che coinvolgeva la sua stessa azienda, nel giro di qualche anno Marc ha finito per rivelarsi un truffatore ed un incallito bugiardo. Felicemente sposato, ricco e gratificato dai suoi capi, Marc non avrebbe avuto, apparentemente, nessun interesse a far emergere le strategie fraudolente che la sua compagnia metteva in atto, a livello mondiale, per il controllo dei derivati del mais. Eppure è lui stesso a proporsi all’FBI come collaboratore, una sorta di solerte 007, scatenando una serie di eventi che non lo porteranno come pensava a diventare presidente della società ma direttamente in una cella federale. Marc, interpretato da un ottimo Matt Damon calvo e ingrassato di 13 chili, inventa personaggi, falsifica documenti, costruisce un intricato sistema di bugie destinato, però, a crollare miseramente.

Quello che per il protagonista appare come una specie di gioco, ad un certo punto sembra sfuggire completamente al suo controllo, fino a mostrare le sue svariate identità: da strampalato collaboratore di giustizia, eroe in lotta contro un capitalismo corrotto, ad autore a sua volta di una colossale truffa da svariati milioni di dollari. Il film quindi, si discosta immediatamente dalla semplice denuncia, seguendo di pari passo la narrazione che lo stesso Marc fa, in una sorta di dialogo continuo con lo spettatore, permettendoci di entrare in diretto contatto con i ragionamenti di un uomo malato.

Sodebergh sceglie i toni lievi della commedia, con continui spostamenti del confine fra menzogna e verità, sempre all’inseguimento del delirio di un personaggio in continua evoluzione e incapace di tacere.

martedì 22 settembre 2009

Il cinema salvato dal Sud – Un libro di Rita Picchi

Il cinema da salvare è quello italiano. Rita Picchi si chiede se il ruolo del salvatore sarà ricoperto dal nostro Meridione. Domanda provocatoria che, alla fine di questo libro edito da Kurumuny, rimane volutamente senza una risposta definitiva.
Rita Picchi, critica e autrice di teatro, ragiona in questo suo appassionato lavoro sul futuro possibile della nostra industria cinematografica scegliendo il punto di vista privilegiato di alcuni autori meridionali. Attraverso l’analisi tematica dei protagonisti, come Rubini, Winspeare, Roberta Torre, e altri, Rita Picchi propone una sorta di viaggio che a ritroso, ma con lo sguardo rivolto sempre al futuro, fino alle origini di un approccio cinematografico al Sud e al contributo tematico dell’etnologo Ernesto De Martino al cinema italiano.
Se è vero, come scrive la regista Cecilia Mangini nell’introduzione, che il cinema ha rappresentato un «tramite continuamente rinnovato di riscontro del reale», una finestra sulla contemporaneità e l’occasione per un confronto critico con il percorso a volte accidentato della nostra società, Rita Picchi propone una riscoperta di questo ruolo. Troppo spesso, da spettatori abbiamo provato in questi ultimi anni una eccessiva distanza fra temi e personaggi sullo schermo e la nostra quotidianità. Scorrendo i titoli prodotti negli ultimi anni è facile notare infatti che, pur realizzati con una discreta qualità, fondamentalmente i film italiani parlano di un paese che non esiste. Raccontano per lo più di storie d’amore, con protagonisti giovani trentenni in affanno, confusi, mediamente benestanti e alle prese con il loro piccolo mondo e i loro problemi esistenziali. Senza grandi ideali, con la politica sfumata sullo sfondo, il cinema italiano ci ha proposto storie indolore, incapaci di turbare o scandalizzare nessuno, ma che piuttosto placidamente si confondono tra loro. Goffredo Fofi scriveva già vent’anni fa invece che “ il cinema più vitale è quello dei paesi in cui le contraddizioni sono esplosive, soprattutto nel Sud”. Ad un cinema distratto si è contrapposto quindi un cinema periferico, lontano dalle capitali del grande schermo, e in virtù di questa lontananza capace di cogliere le contraddizioni dell’esistenza. «Forse, scrive Rita Picchi, questa arte bisognerebbe trovare un modo per renderla viva. Contaminarla con gli umori, con gli odori del corpo spesso sgradevoli e maleodoranti, e con i vuoti della mente, i corto circuiti improvvisi: una porzione di irrazionalità insostenibile e il coraggio di sporcarsi davvero le mani».

E’ un cinema, quello raccontato da Rita Picchi, che si nutre di un Sud inteso come luogo delle radici e dell’anima, luogo capace ancora di turbare la visione, proponendosi come sguardo altro sul reale. E’ un cinema intriso degli studi antropologici di Ernesto De Martino, animati da rigore scientifico e passione civile. E da quello stesso desiderio di anticonformismo che spinse alcuni giovani documentaristi negli anni cinquanta e sessanta, a tentare il racconto del Sud dei grandi cambiamenti economici e sociali del cosiddetto boom economico, con lo stesso piglio polemico e con la medesima grande passione civile. Gli esempi citati sono tanti, da Stendalì di Cecilia Mangini, ricostruzione documentaria di una lamentazione funebre, ai film di ispirazione antropologica di Luigi Di Gianni.

L’esigenza quindi, se il cinema italiano vuole salvarsi, è quella di allontanarsi da schemi convenzionali e prestabiliti, riscoprendo le radici culturali e antropologici che non senza sorprese, accomunano anche registi lontani fra loro negli anni. Rita Picchi lo fa per esempio sottolineando il legame, tematico e di luoghi, che c’è fra il Gianfranco Mingozzi del documentario “La Taranta” e Edoardo Winspeare autore di “Pizzicata” e “Sangue vivo”.

Alla fine l’autrice non scioglie il dubbio, vedremo se lo schermo saprà ritrovare quella forza e quel coraggio, se gli autori del nostro cinema sapranno produrre film ineducati, mal pensanti, politicamente scorretti ma assolutamente necessari. Quello che è certo però che il Sud saprà essere ancora una grande occasione per chi avrà occhi curiosi e coraggiosi.

venerdì 4 settembre 2009

L'era glaciale 3 - L'alba dei dinosauri (USA 2009)

Un film di Carlos Saldanha. Con Ray Romano, John Leguizamo, Denis Leary, Simon Pegg, Queen Latifah, Lee Ryan, Massimo Giuliani.

«Una volta mi sono innamorato,
era una banana, decisi di sposarla»


C’era grande attesa (anche per gli incassi) per il terzo episodio dell’Era Glaciale. E le attese di pubblico e critica nel complesso non vengono deluse.
La formula scelta non brilla particolarmente per originalità, evidentemente la formula che funziona così bene non si cambia: la struttura narrativa, come nella migliore tradizione dei film d’animazione degli ultimi tempi, si regge sulla ricerca di un personaggio da parte dei suoi compagni. In questo caso il protagonista è Sid, il bradipo pasticcione, rapito da un gigantesco, e apparentemente molto feroce, tirannosauro. Mannie e Ellie stanno per avere il loro cucciolo e questo sembra sconvolgere gli equilibri del branco, specie per Diego, la tigre con i denti a sciabola, che ormai inizia a sentirsi troppo vecchio e mollaccione e Sid, che, nel tentativo di crearsi una sua famiglia rubando alcune uova, mette in moto il meccanismo narrativo del film. Riusciranno perciò i mammut Mannie e Ellie, Diego, insieme agli inseparabili opossum Crash e Eddie, a ritrovare sano e salvo il loro amico? Naturalmente! E soprattutto, come ogni edificante finale che si rispetti, l’avventura rafforzerà il loro spirito di gruppo, la loro amicizia e la voglia di aiutarsi nei momenti di difficoltà. Nonostante le differenze fra i componenti del branco, i rispettivi desideri e paure, a prevalere è quindi la voglia di collaborare all’interno della propria famiglia. L’era glaciale 3 si inserisce a pieno in un rassicurante schema narrativo, peccando in un certo senso di ripetitività e di eccessivi riferimenti e citazioni ad altri film di animazione. La ricerca di Sid in un mondo sconosciuto e minaccioso fa pensare per esempio alle avventure del padre di Nemo, solo per citarne uno. Insomma, la sensazione “minestra riscaldata” è pericolosamente dietro l’angolo.
Non mancano naturalmente le trovate spassose, i siparietti dello scoiattolo Scrat, sempre all’inseguimento della ghianda e questa volta anche dell’amore, arrivano puntuali a risollevare il ritmo nei momenti in cui la trama rallenta. Così come in generale non mancano i momenti più squisitamente di azione, con inseguimenti, capitomboli, sorpresi, affidati in gran parte alla “regia” del personaggio di Buck, un furetto avventuriero che rappresenta la vera novità della saga. Rimasto per troppo tempo nel pericoloso mondo sotterraneo dei dinosauri, Buck, come una sorta di novello Capitano Achab, ha dedicato la sua esistenza ad inseguire la sua Moby Dick, un gigantesco e cattivissimo dinosauro bianco. Il suo contributo sarà determinante nel salvataggio di Sid, e anche nel regalare agli spettatori momenti di pura azione. Troppo innamorato del pericolo, alla fine Buck sceglierà di continuare a vivere nel suo mondo, continuando a dare la caccia ai suoi incubi.

Deludente la versione in 3D. Tranne che in alcuni momenti, non aggiunge molto alla visione e sembra fatta esclusivamente per attirare pubblico e giustificare il sovrapprezzo che gli esercenti fanno pagare per gli occhiali.