mercoledì 14 ottobre 2009

Videocracy - Basta apparire

Un film di Erik Gandini - Svezia 2009

“Per noi italiani la parola TELEVISIONE non si riferisce più soltanto all'apparecchio in sé. La Televisione è molto di più, è un’entità influente e mistificata con un ignoto e inquietante potere, trapelato ormai in quasi tutti gli aspetti della vita, del sogno e naturalmente della politica. Quasi come un mostro”.


Videocracy è un film duro da digerire, anche per chi vive in Italia e a certe cose dovrebbe essere in un certo senso abituato. Non eravamo sorpresi, infatti, difronte allo spettacolo dello strapotere televisivo sulla quotidianità di ciascuno, osservando quanto la tv sia diventata una scatola dei desideri, una sorta di specchio deformato della realtà e, allo stesso tempo, un generatore di sogni, strampalati, irrealizzabili e terribilmente affascinanti. Ciò nonostante, dopo la visione di questo documentario, un silenzio quasi imbarazzato accompagnava l’uscita degli spettatori dalla sala. Segno forse che un film come questo è necessario anche per chi è dotato di una certa consapevolezza.

Il regista Erik Grandini, nato in Italia ma da molti anni residente in Svezia, ha deciso di provare a raccontare quanto profondo e “disturbato” sia il rapporto degli italiani con la televisione, costruendo un’indagine dallo stile discreto, molto lontano da quello di Michael Moore, e collocandosi in una posizione da osservatore esterno, che assiste al compiersi di un vero e proprio esperimento sociale. Esperimento iniziato una ventina d’anni fa quando, in un quiz su una tv privata, il premio per gli spettatori era lo spogliarello di una casalinga. Gandini lascia molto spazio ai protagonisti e alla loro voglia di mettere in scena se stessi, senza grandi inibizioni o pudori. E così, uno dopo l’altro compaiono sulla scena gli abitanti di un mondo che ciascuno conosce bene, personaggi di quell’universo dorato, che alcuni subiscono, ma in cui la maggior parte dei giovani italiani aspira ad entrare, subito. Videocracy svela, o meglio, rende visibili soprattutto le loro ossessioni, da quelle di personaggi già famosi e a pieno titolo “stelle” del panorama televisivo italiano fino a quelle di una moltitudine di sfigati che, è triste da dire, ma comprensibilmente aspirano anche loro a diventare ricchi non facendo quasi nulla.

E così nel documentario, all’ostentazione del proprio potere mediatico assoluto di un Lele Mora, vestito di bianco nella sua villa esclusiva in Costa Smeralda, attorniato come un imperatore decadente dai suoi tronisti, si alterna il patetico ritratto di Riccardo, ragazzo bresciano che, consapevole di quanto fare l’operaio sia ormai considerato un fallimento, aspetta ostinato che arrivi anche per lui il successo. In fondo che ci vuole, basta che proprio uno come Lele Mora scopra che a Brescia vive il “Van Damme italiano”. Nel mezzo, vero e proprio anello di congiunzione fra questi due livelli dell’evoluzione dell’uomo televisivo italico, c’è Fabrizio Corona, campione di cinismo e ostentazione di sé. Personaggio davvero interessante, dotato di un’ignoranza triste e feroce al tempo stesso, capace di annullare qualsiasi confine tra dimensione pubblica e privata innanzitutto nella sua vita, si definisce una specie di Robin Hood moderno che ruba ai ricchi ma, anziché dare ai poveri, tiene per sé il malloppo. E davvero i soldi sono per lui l’ossessione, fonte e obiettivo di quella frenesia che lo porta a vedere nei vip da fotografare delle macchinette per far soldi, rapidamente e senza grandi fatiche. Con il suo agire, al di là di ogni regola e in un certo senso senza consapevolezza, mette in atto una vera e propria vendetta nei confronti dello stesso sistema che lo ha generato. Un sistema che senza dubbio però sarà presto in grado di riassorbire il ribelle. Non sarà Corona a sconfiggere infatti una moltitudine di ragazze che aspirano a diventare una velina e a sposare un calciatore, non sarà lui a mettere in crisi davvero un modello così seducente. Dovremo aspettare e sperare, sdegnati, in qualcosa di meglio.

Piccola nota a margine: Rai e Mediaset non hanno neanche voluto trasmettere il trailer di questo film, definendolo un attacco all’attuale governo: se ci fosse stato bisogno dell’ennesima prova di quanto politica e spettacolo siano ormai due universi coincidenti, non avrebbero potuto far meglio.

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