martedì 24 novembre 2009

RADIO SINGER

Un documentario di Pietro Balla.

I documentaristi, quelli bravi, di solito non cercano la verità assoluta. Almeno non quella con la V maiuscola. Non ambiscono al ruolo di storici, non sono economisti o sociologi, ma si accontentano in un certo senso di raccontare delle storie, di trasmettere delle emozioni, spesso in prima persona, rischiando e condividendo il proprio sguardo sulla realtà. Pietro Balla, presentando Radio Singer al Festival di Torino nei giorni scorsi, ha rivendicato con forza questo suo ruolo di narratore che presenta allo spettatore una sua versione, uno delle tante possibili, di un pezzo del nostro passato recente.

Il film di Pietro Balla ci offre un breve sguardo sulla stagione di lotte politiche e sociali vissuta dall'Italia negli anni Settanta, restituendoci non tanto una sequenza di avvenimenti storici, quanto piuttosto il sapore di qualcosa molto lontano nel tempo, senza nascondere il rimpianto e la nostalgia per quello che oggi non c'è più, e l'incazzatura per quello che avrebbe potuto essere.

Gli avvenimenti sono quelli del 1 ottobre 1977 a Torino, giorno in cui si prepara una grande manifestazione per il lavoro nel centro della città. In periferia, nel comune di Leinì, la Singer, storica fabbrica di elettrodomestici, quel giorno chiude i battenti per sempre, smettendo di produrre frigoriferi, vero e proprio simbolo del benessere e del miracolo economico.

A Leinì quel giorno si conclude un ciclo di intense lotte per la difesa dell'occupazione, in cui per la prima volta in Italia gli operai hanno tentato di portare la loro protesta fuori dai cancelli della fabbrica, coinvolgendo gente di spettacolo e cittadini comuni. Sul palco della Singer si esibirono, infatti, Guccini, Milva, Franca Rame, Dario Fo e il Living Theatre, in quello che diventò un esperimento politico innovativo, che cercava di superare i confini della rivendicazione operaia. Un tentativo che, nonostante l'investimento di energie, era però destinato a fallire difronte alle logiche del mercato. E così, alle immagini di repertorio che ci mostrano cortei imponenti, assemblee affollate, fanno da contrappunto le inquadrature di oggi, le strade e le piazze semivuote. Le voci dei cortei e delle manifestazioni non ci sono più nelle giornate di Pietro Balla.

Come con le immagini, due voci si alternano nel documentario a raccontare quella giornata da due punti di vista diversi: quella del passato appartiene a Maddalena, operaia, che dai microfoni di Radio Singer, la prima radio libera a raccontare il mondo della fabbrica dall'interno, da l'addio definitivo ai sogni di lotta, al suo posto di lavoro e alla vita. La voce di oggi invece è del regista stesso che, in prima persona, racconta il suo 1 ottobre '77, passato in casa ad ascoltare la sua compagna, Maddalena appunto, mentre fuori la Storia faceva il suo corso.

Oltre alla fine della Singer, qualcos'altro andò storto quel 1 ottobre a Torino. Mentre i cancelli della fabbrica di Leinì si chiudevano, il corteo attaccò con le molotov un bar del centro, presunto ritrovo di fascisti, uccidendo un incolpevole figlio di emigranti. Gli stessi emigranti che in fabbrica avevano contribuito al miracolo del boom economico, e che in quegli anni vivevano il risveglio amaro del declino industriale.


martedì 17 novembre 2009

Nemico Pubblico (Public Enemies - USA 2009)

Un film di Michael Mann. Con Johnny Depp, Christian Bale, Marion Cotillard, Billy Crudup, Stephen Dorff.

    - In questo posto, alla gente importa da dove vieni. Io, invece, la valuto per dove va.

    - E tu, dove vorresti andare?

    - Ovunque io voglia


    Michael Mann mette in scena, con rigore formale e grande capacità narrativa, l’epilogo tragico di John Dillinger, inafferrabile svaligiatore di banche che, negli anni ’30, mise in serio imbarazzo la giustizia americana. Eroe solitario e irriverente, Dillinger è in guerra per conquistare il lusso che gli è stato negato, belle donne, auto veloci, feste e abiti sfarzosi. Ad ogni suo arresto, ali di folla lo attendono lungo le strade, affascinate dal mito del fuorilegge, desiderose di condividere un pezzettino di quella vita che, nell’America della Grande Depressione, appariva come un sogno irraggiungibile. Il personaggio di Dillinger è uno di quelli capace di mettere in discussione alcuni dei principi che regolano la vita dei bravi e onesti cittadini. Non si possono liquidare semplicemente la sua esistenza, e la sua fine, come quelle che si merita un delinquente incallito, incapace di sopportare le regole del vivere civile. Dillinger appartiene a quella stirpe di banditi, privi di qualsiasi scrupolo se un ostacolo si frappone ai propri progetti e, al tempo stesso stesso, capaci di essere fedeli e leali fino alla fine.

    Nella sua vita, e nel film, agli inseguimenti, alle sparatorie si alternano momenti di passione concreta, di tenerezza e rimpianto. Ma non sarà l’amore a salvare un uomo incapace di relazionarsi agli altri senza provocare morte e ferite. Mentre sui ritratti dei suoi compagni appare la scritta “deceduto”, inesorabilmente Dillinger si ritroverà solo, condannato ad andare avanti, senza spazio per ripensamenti e per futuri progetti. L’ultimo colpo non sarà quello che gli permetterà di partire con l’amata Billie per rifarsi una vita, lontano da tutto e tutti. Un personaggio perciò capace di mettere in discussione l’idea stessa di giustizia, rivelando le contraddizioni di un sistema che nel dividere i buoni dai cattivi appare spesso ingiusto e arbitrario. Dillinger si relaziona con un sistema corrotto, e corruttibile. La stessa polizia, e soprattutto gli agenti della nascente FBI, vestiti esattamente come gli stessi gangster, non si fanno scrupoli nell’adottare gli stessi metodi dei criminali per svolgere il proprio lavoro. Interrogatori brutali, ricatti, una colpevole leggerezza nell’aprire il fuoco contro chiunque, nel buio, si trovi sulla traiettoria dei propri mitra. La caccia finisce quasi per sovrapporre i suoi protagonisti, non più nettamente divisi fra buoni e cattivi. Fino ad arrivare a quella che appare come una vera e propria esecuzione: Dillinger, colpito alle spalle dagli agenti, muore su un marciapiede di Chicago, all’uscita di un cinema. Si compie il suo destino, e l’epilogo non poteva che essere tragico. Ma in questo non c’è nessuna sorpresa, Dillinger stesso sembra esserne consapevole e determinato a vivere fino in fondo il suo destino.

venerdì 6 novembre 2009

La doppia ora - Italia 2009

Un film di Giuseppe Capotondi. Con Ksenia Rappoport, Filippo Timi, Antonia Truppo, Gaetano Bruno, Fausto Russo Alesi.


Non ero preparato a te!


Finalmente! Verrebbe da esclamare alla fine della visione di questo film. Finalmente perché un film italiano, che si aggira nei territori insidiosi del genere thriller, risulta appassionante e credibile in tutti i suoi elementi. E questo deve essere quello che hanno pensato critici e pubblico della Mostra di Venezia, dove La doppia ora è risultato il film italiano più apprezzato. L’Indigo Film, casa produttrice tra gli altri dei film di Paolo Sorrentino, Il Divo e Le conseguenze dell’amore, con questo film conferma il proprio occhio di riguardo nei confronti del cinema italiano di qualità.

Un ottimo esordio per Giuseppe Capotondi, regista di videoclip e pubblicità, che ha in una sceneggiatura perfettamente calibrata il suo punto di forza. Un narrazione che, senza alcuna sbavatura, cattura lo spettatore fin dalla prima scena, senza disdegnare di provocare qua e la anche qualche sobbalzo sulla poltrona. La trama, della quale naturalmente eviterò di fornire particolari, è una di quelle che riescono ad andare oltre la semplice sequenza di azioni spettacolari, per inoltrarsi nei meandri della mente dei personaggi, legando avvenimenti e sentimenti in un intreccio avvincente. I dubbi si alternano alle convinzioni, i ricordi si confondono fino a diventare ossessioni. Agli spettatori, dunque, il solo compito di lasciarsi andare allo svolgersi di una storia in cui niente è come sembra. O piuttosto, tutto è esattamente quello che appare.
A dare credibilità alla trama ci pensano gli ottimi interpreti, tra cui spiccano proprio i due protagonisti: Ksenia Rappoport, giustamente premiata con la Coppa Volpi all’ultimo Festival di Venezia, e Filippo Timi. I due riescono a costruire il ritratto di due personaggi complessi, tormentati entrambi dal proprio passato e incapaci di vivere pienamente il presente. La doppia ora è, infatti, la storia di un amore bloccato sul nascere da eventi tragici. L’incontro tra Guido e Sonia, durante una serata per single, sembra destinato a sconfiggere la solitudine in cui vivono entrambi. Lei, cameriera in un hotel e misteriosamente affascinante. Lui, un ex-poliziotto che tenta di sconfiggere il proprio passato doloroso passando lunghe giornate a fare da custode ad una grande villa vuota. Proprio quando l’amore sembra aver cominciato a sciogliere entrambi i personaggi, irrigiditi e impacciati, la tragica morte di Guido rimetterà tutto in discussione. A quel punto la storia prenderà una piega inaspettata, sconvolta da continue accelerazioni in avanti e ritorni indietro del tempo e spostamenti su diversi piani narrativi. La doppia ora infatti non è solo quella in cui, sul quadrante dell’orologio, appare una coppia di numeri uguali, ma soprattutto quella in cui possono accadere eventi straordinari, in cui possono crearsi connessioni fra mondi paralleli. In cui i ricordi e le paure emergono prepotenti, fino a ritornare ad essere realtà.